Interris.it, 27/12/2018, Marco Managò
Mal d'archivio: la nuova patologia dell'accumulatore seriale
La tendenza sempre più maniacale a conservare e fissare ciò che è stato pur non avendolo vissuto interamente
L'archive fever (febbre o mal d'archivio) è l'ossessione contemporanea dell'era digitale e social, diffusa ovunque, di memorizzare dati in modo sicuro al fine di avere sempre disponibili immagini, video e documenti. Si tratta di un fenomeno in aumento, in virtù anche del subdolo aiuto offerto dalle nuove tecnologie. Produce stress a causa della paura di perdere dati o di dimenticare qualcosa.
L’accumulatore compulsivo, per esigenze di schedatura, collezionismo o di prova (in un’epoca di proliferazione di truffe e di diatribe giudiziarie) vive, quindi, in uno stato di angoscia che accomuna a una mole di tempo sprecata, senza filtrare gli elementi davvero importanti da salvare. La febbre d’archivio, di preservare il presente dalla distruzione e dall’oblio, contagia sia il singolo individuo sia gli enti pubblici per fini istituzionali e culturali, sia i privati per catalogare, offrire statistiche, servizi e trend di mercato.
Le fobie degli utenti della rete
In tema di fobie sociali, tra i dubbi e le paure più frequenti degli utenti della rete, figurano quelle relative al cambio del pc, della sostituzione o dello smarrimento dello smartphone, di non effettuare backup sicuri, di virus in grado di cancellare il proprio archivio o di violare la privacy, di perdere dati importanti per la propria azienda o di non averli a disposizione durante i viaggi, di non avviare metodologie di archiviazione nelle collezioni di oggettistica più svariata che si proteggono nelle abitazioni nonché quelli più moderni, legati al timore di perdere le conversazioni effettuate tramite WhatsApp o di annullare i “progressi” raggiunti, meritoriamente, attraverso ore di dura applicazione nei videogiochi.
...
Schiacciati dal potere degli archivi
Il saggista Francesco Guglieri, in un articolo del 14 marzo 2017, pubblicato da IL Magazine-Il Sole 24 Ore, scrive “Siamo schiacciati dall’autorità e dal potere degli archivi, dalla loro massa gravitazionale che incombe ansiogena sulle nostre teste, dalla consapevolezza della loro presenza trascendente, più grande di noi, su cui non abbiamo alcun controllo”. L’esigenza, esasperata, di conservare la storia personale attraverso il collezionismo materiale e l’archiviazione digitale, termina col tarpare l’esistenza stessa e col procedere all’inutile immagazzinamento indifferenziato, in cui l’enorme mole di elementi conservati finisce per essere, già in vita, solo un autentico memoriale.