Incauto acquisto fonti archivistiche destinate allo scarto

Re: Incauto acquisto fonti archivistiche destinate allo scar

Messaggioda Sergio P. Del Bello » 18/02/2018, 14:42

IlGiornale.it, Gabriele Bertocchi, 18/02/2018

"Collezionare francobolli ​ora è diventato un reato"

Migliaia di lettere, documenti e francobolli sequestrati ai collezionisti. Nemmeno una circolare del Ministero dei beni culturali ferma i pm

Collezioni francobolli? Stai attento perché per la giustizia italiana sei un potenziale delinquente. Non stiamo scherzando: secondo i magistrati - che stanno ordinando sequestri a tappeto - se il francobollo è o era incollato su una busta indirizzata a un ente pubblico potresti essere incriminato per i reati di ricettazione o di incauto acquisto.

I casi
Le interpretazioni dei magistrati si basano su una legge del 2004, che stabilisce che le missive o i documenti spediti a un ufficio pubblico dal 1840, che sia lo Stato o anche Regioni, enti territoriali, persone giuridiche private senza fini di lucro, enti ecclesiastici compresi gli Stati ed enti dell' Italia preunitaria, sono "beni culturali inalienabili", come scrive la Verità. Ovvero documentazione storiche che deve essere custodita negli archivi statali. E secondo i giuristi anche il fancobollo è da considerarsi tale.

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Sulla base della legge e dell'interpretazione dei magistrati sono incriminati dalla Procura di Cosenza per ricettazione un collezionista di Sant' Agata d' Esaro e sua moglie: avevano ben 13.470 lettere, tutte finite sotto sequestro. Docuementi aggiudicati all'asta e che comprendevano lettere indirizzate a preture e prefetture o a Benito Mussolini o addirittura a Vittorio Emanuele III e alla sua consorte, Elena di Savoia. Tutto è finito in mano alla Soprintendenza archivistica in attesa del processo.

Ma c'è di peggio. È il caso di Giovanni Valentinotti di Pesaro, manager in pensione e collezionista. A lui carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico hanno portato via oltre 12.000 pezzi. Tutto per colpa del web, luogo in cui offriva i sua carteggi di valore. Documenti emanati dai carabinieri pontifici di Bologna nel 1820, dal prefetto del dipartimento del Reno nel 1808 e dalla Commissione delle acque di Ferrara nel 1804. Carte che scottano secondo i pm e quindi da considerara "beni culturali, inalienabili e incommerciabili". Per i magistrati non conta nemmeno che Valentinotti abbia ottenuto i documenti pagandoli 2 milioni di lire alla discarica di Coriano di Rimini. Il Riesame ha dato ragione al collezionista ma la Procura di Pesaro ha nuovamente disposto il sequestro con la giustificazione "erano documenti destinati alla distruzione e venivano reimmessi illecitamente in circolazione". La colpa quindi è di chi compra non dell'ente che ha mancato ai suoi compiti, quindi alla distruzione della carte. Disavventura identica a quelle di un commerciante filatelico di Rivoli che dopo aver acquistato francobolli e lettere dalla Croce Rossa se gli è visti portare via.

Se acquisti materiali, se li vendi online o su internet vieni considerato un ricettatore o commetti il reato di incauto acquisto. "
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E pensare che le procure non badano nemmeno alla circolare emessa dal ministero dei Beni culturali in cui si fa un distinguo tra buste o lettere trafugate dagli archivi, con relativa denuncia di furto, e i milioni di pezzi detenuti legittimamente dai collezionisti. "A nulla sono valse le circolari del ministero - sottolinea Giovanardi -, mentre in zona Cesarini siamo riusciti a bloccare un disegno di legge sull' estensione di sanzioni penali in materia di reati contro il patrimonio culturale, che colpisce chiunque possiede beni culturali di cui non si precisa la natura".

E così la lotta dei pm prosegue. Rischiando di affondare un mercato da 120 milioni di fatturato l'anno.
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Incauto acquisto fonti archivistiche destinate allo scarto

Messaggioda Sergio P. Del Bello » 06/01/2018, 15:30

LaStampa.it, Francesco Grignetti, 06/01/2018

La battaglia del collezionista per vendere documenti storici

I magistrati gli sequestrano vecchie carte: “Beni culturali incommerciabili”. Sentenza del Riesame di Pesaro lo autorizza ma la procura lo blocca di nuovo

Non è finita la guerra ai collezionisti di cimeli e documenti storici, anzi. È di qualche giorno fa una decisione della procura di Pesaro che farà discutere. Accade infatti che un tal signor Giovanni Valentinotti, manager in pensione, collezionista di documenti storici e commerciante di cimeli a tempo perso, sia finito nel mirino della procura pesarese perché «colpevole» di vendere via e-bay alcune tra le sue innumerevoli carte antiche. Altre le conservava religiosamente.

In un faldone aveva quaranta documenti «emessi da varie magistrature» con date variabili tra 1804 e 1897. Uno - che doveva essere la perla della sua collezione - datato 1755. Si tratta di alcuni documenti emessi dal Prefetto Dipartimento del Reno nel 1808, dalla commissione delle Acque di Ferrara nel 1804, alcuni dei Carabinieri Pontifici di Bologna nel 1820. E sono guai. La procura infatti ritiene che, siccome sono documenti originali emessi da uffici pubblici del Regno d’Italia, sono da considerare automaticamente «beni culturali» e perciò «inalienabili e incommerciabili» a meno che il collezionista non abbia per ciascuno di essi un certificato di «avvenuto spoglio». Ma su questa valutazione ora è muro contro muro tra tribunale del Riesame e procura. Una lite in punta di diritto per decidere, una volta per tutte, che cosa sia un «bene culturale» degno di salvaguardia al punto da impiantarvi un processo penale.
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«Incauto acquisito»
Inoltre la procura segnala che il signor Valentinotti conservava in casa numerosissimi altri documenti originali. Tutti «costituiscono “beni pubblici” a mente dell’articolo 10 del decreto legislativo 42/2004 e non possono essere detenuti per la vendita». C’è un precedente importante, di marzo, a Torino: nel condannare con sentenza di primo grado un commerciante filatelico, il magistrato ha teorizzato che tutte le lettere indirizzate ad qualsiasi ente pubblico, sin dal tempo degli antichi Stati, farebbero parte del demanio dello Stato. E se anche in quel caso il materiale proveniva da una regolare vendita della Croce Rossa, cui storicamente vengono affidati gli scarti degli archivi pubblici (centinaia di milioni di documenti), lo stesso giudice ha sostenuto che tale materiale sarebbe dovuto andare al macero. Se è finito sulle bancarelle o in una collezione, si può ipotizzare quantomeno «l’incauto acquisto».

Ora però a Torino come Pesaro si attende la prossima puntata. «Quel che mi pare grottesco di questa vicenda - commenta il senatore Carlo Giovanardi, Idea, che da buon collezionista segue molto da vicino questa materia - è che il ministero dei Beni culturali aveva emesso una circolare per fare chiarezza. Si distingueva tra buste o lettere trafugate dagli archivi, con relativa denuncia di furto, da considerare materiale di illecita circolazione, e i milioni di pezzi detenuti legittimamente dai collezionisti. E invece eccoci qui con l’accanimento della procura di Pesaro».
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